Salvatore Rizzuti le mille forme dell'anima

Pascolava il gregge nella campagna vicino a Sciacca. Per ammazzare il tempo scavava figure e volti umani nella radice d’olivo. Un talento naturale . Dalle opere dello scultore siciliano traspare tutto il candore di un artista cresciuto in solitudine, lontano da mode e sperimentalismi. I miti ancora si inverano: Salvatore Rizzuti pascolava le pecore nella campagna di Caltabellotta (aereo paese della provincia di Agrigento, con una campagna verde-argento di olivi che digrada verso Sciacca), aveva nove anni, aveva lasciato le scuole elementari dopo la terza e scolpiva pietre e radiche di olivi, le scavava a raffigurare volti umani, figure.

Durò nove anni quella vita di pastore; poi, non sappiamo come incoraggiato e da chi, studiando nelle poche ore libere, prese la licenza elementare. Aveva diciotto anni. Continuò a studiare e, da esterno, fece la prima e la seconda media. Per favorevoli poté frequentare la terza, a Palermo: dove fece poi il liceo artistico e l’accademia. Studente all’accademia, Bruno Caruso ne scoprì il talento, lo consigliò, ne parlò agli amici, fece si che la sua più grande galleria palermitana gli organizzasse una mostra . E così abbiamo visto le sculture di Rizzuti.

Il primo elogio che gli si può fare, è di essere passato indenne attraverso il liceo e l’accademia. Il suo rivivere la storia della scultura è nativo, immediato senza filtri o schemi; si direbbe guidato dalla materia, più che dalla memoria o se mai da una memoria ancestrale, remota.

C’è qualcosa di religioso, di votivo: come se le forme, condizionate dalla materia, dalle venature e dai nodi e dai colori del legno e della pietra, nascessero da una condizione di religiosa solitudine e comunione e si formulassero come grandi domande senza risposte. Inutile dire che stiamo pensando al leopardiano canto del pastore. E insomma: mentre la scultura arranca tra mode e sperimentalismi e in mode e sperimentalismi si nega e dissolve, ecco uno che in solitudine, nella remota campagna siciliana, religiosamente – come propriamente si addice alla scultura – la riscopre. È viene da pensare a quel che Cecchi diceva di fronte alla Vittoria Samotracia: un genio slaccia una fibbia, e il mondo appare diverso; e i cretini, invece … E non si vuole dire che il giovane Rizzuti si possa già dare per genio, ma è certo che il genio della scultura arride alle sue cose.

  • regia: Matteo Pedani
  • interpreti: Salvatore Rizzuti
  • fotografia: Diana Cansano
  • suono: Mario Iaquone